Castel Volturno

Castel Volturno, punto di snodo tra la provincia di Napoli e Caserta, possiede straordinarie potenzialità di sviluppo ma, nel contempo, è afflitto da una pluralità di criticità e problematiche.

L’incremento demografico, avvenuto nell’ultimo ventennio nella zona del basso casertano, come nella macroarea a nord di Napoli ad essa contigua, ha stravolto completamente l’essenza del piccolo paese, dando vita ad una moltitudine di insediamenti periferici e trasformandolo in un vero e proprio agglomerato cittadino, sprovvisto di infrastrutture necessarie a garantire pari opportunità di accesso ai servizi.

La crescita urbana, rapida e non pianificata, che ha interessato Castel Volturno, ha minato tanto la sostenibilità ambientale quanto quella sociale, incrementando situazioni di degrado a diversi livelli in un comune “difficile”, come è stato definito, noto ai più per fatti di cronaca nera, per l’illegalità diffusa, per gli abusi edilizi perpetrati nel tempo, per l’azione costante di cosche camorristiche che regolano traffico di stupefacenti, sfruttamento della prostituzione come pure il ciclo dei rifiuti, per il fenomeno dell’immigrazione sempre in costante aumento e causa di veri e proprio scenari di guerriglia urbana. Esso è infatti non solo il terzo comune per estensione territoriale (72,23 kmq) della Provincia di Caserta ma anche quello con la più alta percentuale di Cittadini Stranieri (15,3%) nella Regione Campania.

Ad una popolazione residente censita (secondo i dati del Centro di accoglienza per immigrati Fernandes di Castel Volturno) di 25.281 unità, di cui il 17,4% è costituito da minori, il numero di immigrati regolari è di 3.880 unità ma altissimo è il numero stimato di invisibili, circa 20.000 irregolari. E’ chiaro che la significativa estensione territoriale, congiunta ad un tessuto sociale così eterogeneo (molti dei residenti proviene dall’hinterland napoletano e casertano, alcuni popolano il comune solo durante la stagione estiva) renda difficile la convivenza democratica, l’aggregazione e la coesione dei vari gruppi abitativi tra i quali continuano ad innescarsi meccanismi antagonistici e di rifiuto dell’altro.

In particolare, tra le fasce sociali più deboli, minori e giovani, oltre ad essere pericolosamente esposti al rischio devianza e/o abbandono scolastico, sono essi stessi carnefici e vittime di comportamenti prevaricatori, di “sistemi di mediazione autoregolativa” (bullismo, cyberbullismo) diffusi con maggiore probabilità proprio in contesti sociali, familiari e gruppali disagiati. Fattori di rischio individuali, micro e macro sociali, inficiano così la possibilità che le nuove generazioni possano farsi, per prime, promotrici di percorsi di inclusione sociale come metodo e prospettiva in grado di realizzare un processo di riconoscimento reciproco, in cui le ragioni di ciascuno si inseriscano in un percorso di crescita condivisa fondata sulla legalità, sul mutuo aiuto, sul senso civico, sull’apertura alla conoscenza e alla tutela non solo della propria storia ma anche degli usi e costumi di altre culture, attraverso la condivisione partecipata di interessi comuni, esperienze ed emozioni.

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